domenica 22 giugno 2014

Metodologia dello studio, La lettura, Fasi della lettura, Cosa leggere, Come leggere


Metodologia dello studio


La metodologia di studio risulta essere tanto importante quanto lo è la
conoscenza quantitativa-qualitativa della disciplina stessa e lo stile di
apprendimento dei saperi e delle informazioni che ne scaturiscono.
Al fine che i vari apprendimenti siano assimilati ed interiorizzati nella
maniera più funzionale possibile occorre “descrivere i passi di questa
metodologia che, molte volte, viene lasciata al caso o al libero arbitrio dello
studente, così da renderlo orfano di una corretta procedura. Si ha, perciò,
l’obbligo di determinare un valido sostegno sia a chi nello studio vede la
propria formazione curricolare, sia a chi non si ritiene dispensato dalla
ricerca solo perché al di fuori di centri formali di formazione”
(De Santis M., a cura di, Fare ricerca. Per la redazione del testo scientifico,
Anicia, Roma 2006)
Per le ragioni appena esposte bisogna dotare lo studente di criteri che
permettono di organizzare e strutturare, nella maniera più funzionale ed
efficace possibile, il lavoro di lettura, di ascolto, di produzione letteraria e
rispondere in modo pertinente alle continue sollecitazioni che provengono
dall’ambiente circostante, senza perdite di tempo, disorientamento o
scoraggiamenti di vario genere.
La comprensione di un programma adeguato alle esigenze formative
universitarie, e non solo, viene di seguito discussa, così come dovrebbe
essere per qualunque ricercatore e qualunque piano di studio.
Con questo non si vuol intendere che lo studio sia un processo
standardizzato e/o privo di quella singolarità soggettiva più volte rimarcata e
rintracciata nel percorso creativo, piuttosto è doveroso sapere che
nell’elaborazione di un giusto piano di lavoro esistono e sussistono alcuni
elementi ed alcune fasi che devono sempre essere presenti, mai trascurate
Il pressapochismo, il dolce far niente, la stagnazione e la superficialità, che
avvolgono la nostra società, “risultano elementi da combattere tramite un
supporto che nella programmazione e nella metodologia di studio trova le
sue radici. È fuori di ogni dubbio che porsi con umiltà davanti a tali problemi
sia l’unica via capace di guidare la persona dal noto al non conosciuto (…).
Per fare ricerca, quindi, è necessario apprendere oltre che la specificità e i
tratti peculiari di ogni settore, aprirsi al confronto, con il gusto della
documentazione e la volontà di crescere in intelligenza, cultura e emotività.
Uno studio serio pretende requisiti essenziali da parte di ogni studente, il
quale potrebbe essere definito un piccolo ricercatore, capace di una propria
attività critica e di scelta; requisiti che si possono riassumere in una
conoscenza delle principali lingue straniere, del metodo di lavoro”
(De Santis M., a cura di, Fare ricerca. Per la redazione del testo scientifico,
Anicia, Roma 2006)


La lettura
Uno studio serio e responsabilmente scientifico che risponda, cioè, ai crismi
dell’oggettività ed dell’epistemologia investigativa appartenente ad ogni
area del sapere umano richiede uno sforzo di gran lunga maggiore rispetto
al semplice osservare, sfogliare un libro, scribacchiare in modo superficiale e
ascoltare in modo distratto.
Ogni studente dovrebbe essere “un piccolo ricercatore”, capace di una
“propria attività critica e di scelta; requisiti che si possono riassumere in una
conoscenza, anche se non approfondita, delle principali lingue straniere, una
conoscenza minuziosa del metodo di lavoro, una continua attenzione pronta
a rendere conto di una costante vigilanza epistemologica” (R. Mancini 2006)
Così l’epistemologia finisce per essere un discorso logico e razionale, uno
studio, insomma, di cui si evidenziano la tracciabilità scientifica e
l’oggettività prassica
Per ciò che concerne la lettura si può riferire il fatto che esistano due modi
per affrontare un testo:
- La prima riconducibile all’idea di Zwaan che si basa su una attenzione
particolare volta a ricercare informazioni (approccio afferente);
- La seconda appartenente al lavoro di Kintsch, che identifica una
modalità diametralmente opposta: si legge per il gusto di farlo
(approccio estetico).
Nella lettura afferente l’attenzione è focalizzata sull’astrazione, l’analisi e
l’organizzazione di ciò che dovrà essere preso e posseduto dal libro; mentre
nella lettura estetica il lettore si concentra su ciò che egli sta vivendo
durante la relazione con il testo.
Quest’ultima condizione e relazione io-libro, detta transazione, si instaura
ogni qual volta un soggetto si trova di fronte a qualsiasi testo al fine di
renderlo proprio e carpirne le sfumature emozionali
L’atto di lettura, però, “non consiste solo in una semplice trasformazione di
sillabe in suoni, ma in un processo piuttosto complesso di comprensioni di
significati”
(Bellerate B. A., Perzzolo M. J., Il lavoro scientifico in Scienze dell’Educazione,
La Scuola, Brescia 1989).
Per giungere a questa comprensione il lettore si serve di due tipi di
informazione:
• visiva: ciò che riceve attraverso gli occhi
• non visiva: ciò che il lettore stesso porta di sé al testo
Nell’interazione con l’opera scritta, infatti, lettori diversi traducono le varie
informazioni in modo dissimile: ogni soggetto attribuisce il proprio
significato ai vari simboli


Fasi della lettura
Esistono delle fasi specifiche nel processo di lettura, momenti che
rispondono alla domanda: come si legge?
- certamente il primo punto è avere il libro, testo, saggio etc. tra le
mani
- la seconda fase è rappresentata dalla Memorizzazione di elementi
quali: Titolo (fa comprendere, seppur sommariamente, l’argomento);
Sottotitolo (qualifica, solitamente, il livello o il metodo adottato
dall’Autore); Autore (risponde alla domanda chi è? Normalmente
questo è presente nella 4° di copertina); Casa editrice (può indicare
l’argomento e/o un determinato settore del sapere); Anno di
pubblicazione (colloca il lavoro in un contesto di appartenenza);
- terza fase è il Riflettere su: struttura del libro (indice: evidenzia gli
argomenti trattati dall’autore e del loro sviluppo diacronico e
sincronico); prefazione (da leggere, mette al corrente il lettore su:
per chi è stato scritto il libro, la sua necessità, il suo scopo e come
utilizzare il lavoro); introduzione (indica gli aspetti e le tematiche più
significative presenti all’interno del testo); capitoli (titoli e sottotitoli.
Eventuali richiami delle problematiche trattate assunte da altri
settori di ricerca. In questo caso si deve prestare attenzione anche al
carattere tipografico dei titoli); conclusione (autorizza, anche se
sommariamente e in maniera mai definitiva a fare il punto della
situazione sulle tematiche affrontate); appendice (rappresenta
l’aspetto tecnico e strumentale dei riferimenti presenti nel testo)
- nella quarta fase occorre Leggere: leggere le parti evidenziate nel
punto 3; sottolineare (lapis o evidenziatore); fare appunti su
quaderno o schede eseguite con strumentazioni tecnologiche (si
perde circa il 50% di quello che si è letto in pochi minuti).
- la quinta fase è rappresentata dall’azione di Riassumere: si elabora
un riassunto contenente le parti lette con l’aggiunta di
approfondimenti personali (di solito alla fine di ogni capitolo o
sezione, dipende dalla lunghezza dell’elaborato).
Ciò deve essere eseguito a voce e in forma scritta; si esegue una scheda
riassuntiva (alla fine del lavoro).


Cosa leggere
Non è superfluo soffermare la nostra attenzione nel rispondere alla
domanda: cosa leggere?
Ogni ricercatore, così come ogni studente, che si accinge alla stesura di tesi o
di qualsiasi altra tipologia di testo che si possa definire scientifico ha bisogno
di indicazioni epistemologiche ed un apparato bibliografico appropriato.
Al fine di individuare una prassi che risulti capace di dotare lo studente di
una conoscenza adeguata dell’argomento e/o tematica su cui si vuol
riflettere occorre una capacità di scelta e di selezione dei vari contributi che
nel corso del tempo si sono prodotti per e su quella determinata questione.
Non bisogna, insomma, prendere libri a caso o semplicemente dalla simpatia
data dal titolo o dall’autore, ma necessita di una profonda riflessione e
analisi anche la sola selezione di un testo piuttosto che un altro
Da quanto espresso, infatti, ne deriva la possibilità di eseguire un discorso
fluido e senza contraddizioni, capace, cioè, di apportare un contributo
significativo alla ricerca scientifica.
Cosa si legge allora?
Esistono diversi “testi” da poter leggere tra cui il testo scritto, l’ipertesto, i
documenti, le immagini, il dato della realtà, gli elementi virtuali.
La ricchezza dei vocabolari, la possibilità di usare parole diverse fanno sì che
il significato muti, permettono al buon lettore di leggere tra le righe per
cogliere l’inafferrabile, il messaggio sotteso.
Leggere comunque è anche ricordare i meccanismi di lettura (scorrere da
destra a sinistra, il riconoscimento delle singole lettere, tradurre i simboli in
significati etc.)
Bacone sintetizza la questione riguardante la lettura così: “certi libri vanno
assaggiati; altri inghiottiti; altri ancora, pochi, masticati e digeriti”
Il problema di cosa leggere solleva un’ulteriori problematiche.
Come accostarsi ad un testo? Quale metodologia adottare nella lettura?
Come comprendere quali strumenti dotarsi al fine di carpire i segreti di un
testo?
Ricordando la magistrale lezione baconiana, esistono tre modalità di
approccio ad un testo scientifico:
- Assaggiare: guardare sommariamente il tema trattato scegliendo e
selezionando i punti salienti;
- Inghiottire: sfiorare lievemente e rapidamente l’intero testo;
- Masticare e digerire: studiare ed approfondire il testo per intero,
accuratamente e con la massima attenzione
Ecco, allora, che risulta fondamentale una prima analisi ed un esame di un
testo per mezzo della metodologia derivante dal lavoro di Beach.
L’Autore definisce sette fasi:
- Coinvolgimento: risposta emotiva suscitata dal testo;
- Concettualizzazione: percezione del testo da parte del lettore
- Connessione: grado di relazione instaurato;
- Porsi domande: il testo generalmente suscita delle riflessioni
personali che magari possono essere trascritte a bordo pagina per
poter essere poi esaminate in separata sede;
- Spiegazione: commentare il testo
- Interpretazione: dare un punto di vista personale
- Valutazione: trarre le conclusioni della lettura
Al fine di decidere quale metodo sia opportuno adottare nella lettura è
doveroso “dare una occhiata a volo d’uccello sul bosco, prima di addentrarci
nel sottobosco” (D. Rowntree) e non adottare il metodo dello scorrere.


Come leggere:
- cercare il concetto essenziale;
- cogliere i particolari importanti;
- valutare quello che si legge;
- scoprire la gerarchia dei concetti, ossia il piano dell’autore;
non prendere appunti durante la lettura (risulta essere fonte di distrazione.
Occorre solo sottolineare o evidenziare; non sottolineare nella prima lettura,
qualora il testo sia da “masticare”)
È possibile, inoltre evidenziare dei difetti nella lettura:
- arco di riconoscimento limitato
- molte fissazioni
- regressioni frequenti
- vocalizzazione
- disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia,
disortografia)
Correzione dei difetti nella lettura:
- controllo difetti visivi
- smettere di leggere ad alta voce (anche il solo movimento delle
labbra comporta un rallentamento nella lettura e nella comprensione
di ciò che si legge)
- esercitare una lettura più veloce (non significa peggiore
comprensione)
- leggere a unità di pensiero e non parola per parola (significato della
frase, non della parola)
- cercare di aumentare l’arco di riconoscimento;
- consolidare il vocabolario (test)
- analisi del DSA
(fonte: M. De Santis, Fare ricerca, Anicia, Roma 2006)


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domenica 15 giugno 2014

LA PERCEZIONE PARTE SECONDA

LA PERCEZIONE PARTE SECONDA


Le principali teorie: 
il movimento del New Look

L’organizzazione del mondo percettivo dipende, oltre che da fattori strettamente inerenti allo stimolo, anche da altri elementi, come:
i bisogni,
gli stati emotivi,
le aspettative,
le motivazioni del soggetto che percepisce.
Il soggetto, quando percepisce uno stimolo, compie un’azione di categorizzazione, in quanto, a partire da alcuni indizi, provvede all’identificazione e alla classificazione dello stimolo stesso.
In quest’ottica, la percezione si fonda su un sistema di categorie appropriate, idonee per codificare la realtà ambientale sulla base delle relazioni rilevate fra le proprietà degli oggetti e degli eventi.

La teoria ecologica di Gibson

Jerome James Gibson (1904-1979) sostiene che il processo di percezione non è un progressivo arricchimento degli stati sensoriali attraverso processi eterogenei (esperienza passata, inferenze, schemi, ecc.),ma le informazioni percettive sono già contenute nella stimolazione così come si presenta al soggetto.
Gibson ha chiamato affordances queste disponibilità già presenti nella stimolazione. Il soggetto deve solo riuscire a cogliere queste informazioni percettive già esistenti nell’ambiente che lo circonda (approccio ecologico alla percezione).
Sulla scia di Gibson e continuando il suo lavoro di ricerca, Marr (1982) è approdato ad una concezione computazionale della percezione, proponendo un modello complesso per spiegare la rappresentazione e l’elaborazione dell’informazione visiva.

L’organizzazione percettiva: 
la percezione delle figure

Guardando intorno riusciamo a distinguere scene complesse che sono dislocate nell’ambiente circostante. 
Tali scene sono composte da figure messe insieme e ordinate per mezzo di precisi rapporti reciproci. 
La figura è dunque l’unità elementare della percezione visiva. Può essere considerata figura qualsiasi entità visiva che abbia un aspetto (forma e colori) proprio. Il processo di percezione ci consente di individuare le figure, non di riconoscerle. 
Nel processo di riconoscimento, agiscono altri meccanismi superiori, fra i quali il pensiero e la memoria.
Per individuare una figura bisogna staccarla dal fondo. Gli umani percepiscono le figure come entità che possiedono tratti distintivi molto individuati e che per tali caratteristiche si differenziano sia dal resto delle altre figure che dallo sfondo. L’operazione d’individuazione delle figure è automatiRiconoscerla vuol dire arrivare a stabilire cosa rappresenta. Percepire e riconoscere una figura è per i soggetti umani un processo unitario, del quale ci rendiamo conto solo quando l’ambiente percettivo è disturbato (presenza di poca luce, suono molto debole, ecc.). Per cui, riusciamo a percepire la presenza di un’entità figurale, senza riconoscere che cosa sia. ca ed inconsapevole. Ci rendiamo conto di attivare tali meccanismi dei quali normalmente non siamo coscienti, solo in situazioni particolari.

Come si estraggono le due immagini

Guardando tale immagine, ad una prima occhiata rileviamo un calice. 
Guardando ancora ci accorgiamo che si possono notare due profili di volti umani che si guadano. 
Questo è un tipo di percezioni fluttuanti in quanto, in tali situazioni, oscilla il rapporto percettivo figura-sfondo.

Percepiamo una figura nera su uno sfondo colorato, finché vediamo un calice. Non appena scorgiamo i visi, percepiamo il colore di sfondo del calice.
In questo caso il cervello si chiede qual è la figura e quale lo sfondo, anche se non ha un’ipotesi vincente e più plausibile delle altre. Dispone di due ipotesi entrambe funzionali. Di conseguenza, la percezione figura-sfondo resta in bilico e fluttua. 
Quali sono i criteri che il cervello adotta per risolvere questi problemi? Su quale base arriva alla conclusione che un dato insieme di sensazioni è una figura, mentre il resto è uno sfondo? Questo processo, ancora in parte sconosciuto, necessita d’alcuni elementi, indispensabili per l’individuazione delle figure.


Per approfondire:
50 Classici della Psicologia
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L’organizzazione del mondo percettivo dipende, oltre che da fattori strettamente inerenti allo stimolo, anche da altri elementi, come:
i bisogni,
gli stati emotivi,
le aspettative,
le motivazioni del soggetto che percepisce.
Il soggetto, quando percepisce uno stimolo, compie un’azione di categorizzazione, in quanto, a partire da alcuni indizi, provvede all’identificazione e alla classificazione dello stimolo stesso.
In quest’ottica, la percezione si fonda su un sistema di categorie appropriate, idonee per codificare la realtà ambientale sulla base delle relazioni rilevate fra le proprietà degli oggetti e degli eventi.

La teoria ecologica di Gibson

Jerome James Gibson (1904-1979) sostiene che il processo di percezione non è un progressivo arricchimento degli stati sensoriali attraverso processi eterogenei (esperienza passata, inferenze, schemi, ecc.),ma le informazioni percettive sono già contenute nella stimolazione così come si presenta al soggetto.
Gibson ha chiamato affordances queste disponibilità già presenti nella stimolazione. Il soggetto deve solo riuscire a cogliere queste informazioni percettive già esistenti nell’ambiente che lo circonda (approccio ecologico alla percezione).
Sulla scia di Gibson e continuando il suo lavoro di ricerca, Marr (1982) è approdato ad una concezione computazionale della percezione, proponendo un modello complesso per spiegare la rappresentazione e l’elaborazione dell’informazione visiva.

L’organizzazione percettiva: 
la percezione delle figure

Guardando intorno riusciamo a distinguere scene complesse che sono dislocate nell’ambiente circostante. 
Tali scene sono composte da figure messe insieme e ordinate per mezzo di precisi rapporti reciproci. 
La figura è dunque l’unità elementare della percezione visiva. Può essere considerata figura qualsiasi entità visiva che abbia un aspetto (forma e colori) proprio. Il processo di percezione ci consente di individuare le figure, non di riconoscerle. 
Nel processo di riconoscimento, agiscono altri meccanismi superiori, fra i quali il pensiero e la memoria.
Per individuare una figura bisogna staccarla dal fondo. Gli umani percepiscono le figure come entità che possiedono tratti distintivi molto individuati e che per tali caratteristiche si differenziano sia dal resto delle altre figure che dallo sfondo. L’operazione d’individuazione delle figure è automatiRiconoscerla vuol dire arrivare a stabilire cosa rappresenta. Percepire e riconoscere una figura è per i soggetti umani un processo unitario, del quale ci rendiamo conto solo quando l’ambiente percettivo è disturbato (presenza di poca luce, suono molto debole, ecc.). Per cui, riusciamo a percepire la presenza di un’entità figurale, senza riconoscere che cosa sia. ca ed inconsapevole. Ci rendiamo conto di attivare tali meccanismi dei quali normalmente non siamo coscienti, solo in situazioni particolari.

Come si estraggono le due immagini

Guardando tale immagine, ad una prima occhiata rileviamo un calice. 
Guardando ancora ci accorgiamo che si possono notare due profili di volti umani che si guadano. 
Questo è un tipo di percezioni fluttuanti in quanto, in tali situazioni, oscilla il rapporto percettivo figura-sfondo.

Percepiamo una figura nera su uno sfondo colorato, finché vediamo un calice. Non appena scorgiamo i visi, percepiamo il colore di sfondo del calice.
In questo caso il cervello si chiede qual è la figura e quale lo sfondo, anche se non ha un’ipotesi vincente e più plausibile delle altre. Dispone di due ipotesi entrambe funzionali. Di conseguenza, la percezione figura-sfondo resta in bilico e fluttua. 
Quali sono i criteri che il cervello adotta per risolvere questi problemi? Su quale base arriva alla conclusione che un dato insieme di sensazioni è una figura, mentre il resto è uno sfondo? Questo processo, ancora in parte sconosciuto, necessita d’alcuni elementi, indispensabili per l’individuazione delle figure.


Per approfondire:
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